Dimenticare per difendersi
- Nov, 06, 2018
- Lucia
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Perché persone che hanno subito abusi, maltrattamenti o che sono stati poco accuditi e considerati dai propri genitori spesso non ne fanno parola o, per molti anni, giudicano e presentano il loro rapporto con questi come idilliaco? Si ipotizza che abbiano bisogno di un meccanismo di difesa particolare, l’esclusione difensiva.
Bowlby (1969) utilizza gli studi basati sul modello cibernetico dell’elaborazione dell’informazione (per una rassegna sull’ Human Information Processing, Reed, 1988, Erdelyi, 1985) per rielaborare il concetto psicoanalitico di difesa. I processi di elaborazione dell’informazione sarebbero sottoposti ad un controllo centrale che ne escluderebbe selettivamente una quota, dal momento che non tutte le informazioni in entrata hanno la stessa rilevanza per il soggetto, proprio come quando, se due persone ci stanno parlando contemporaneamente, possiamo prestare reale attenzione ai contenuti di uno solo dei due discorsi. Un caso particolare di questo processo adattativo sarebbe l’esclusione difensiva, per mezzo della quale verrebbe scartata un’informazione sgradita: tuttavia il materiale escluso influenza i processi di pensiero, emergendo in modo incontrollato in alcune circostanze; da qui la sua natura solo temporaneamente adattativa. Secondo Bowlby lo stesso avviene nelle relazioni di attaccamento non soddisfacenti in cui l’individuo ha necessità di sviluppare due modelli operativi del Sé in relazione alla figura di attaccamento: non potendo accedere serenamente all’immagine di un genitore rifiutante o in qualche modo carente nelle sue funzioni, segregherà questo modello escludendolo difensivamente. Scrive infatti Bowlby: “…la maggior parte dei bambini non vuole vedere i propri genitori in una luce troppo cattiva […e quindi può succedere che] un paziente fornisce un quadro fuorviante della famiglia perché non sa bene come stiano le cose.” (1973, pp. 395-97 in Albasi, 2006, corsivo dell’Autore). Sarà invece accessibile alla coscienza un modello di sé come cattivo, così da giustificare la figura di attaccamento che lo rifiuta. Questo processo sarebbe possibile grazie all’esistenza di due magazzini di memoria distinti (Tulving, 1972). Uno conserva i ricordi secondo modalità di organizzazione della conoscenza semantiche, dove l’informazione ha la forma di enunciati generalizzati riguardanti il mondo e che possono derivare da quanto un individuo ha appreso dagli altri, oltre che dalla propria esperienza personale. L’altro racchiude invece l’esperienza autobiografica, caratterizzata in senso spazio-temporale, ed è un magazzino di tipo episodico. Questa ripartizione della memoria spiegherebbe le numerose contraddizioni che è facile incontrare nei discorsi di alcune persone relativamente alla propria infanzia e i propri genitori, così come contraddittori risultano i giudizi generalizzati che queste danno di sé e ciò che invece si può ricavare dal loro modo di presentarsi.
BIBLIOGRAFIA
ALBASI C., 2006, Attaccamenti traumatici. I modelli operativi interni dissociati. UTET UNIVERSITA’, Torino;
BOWLBY J., 1969, Attaccamento e perdita, vol.1, L’attaccamento alla madre, Bollati Boringhieri, Torino 1989;
BOWLBY J., 1973, Attaccamento e perdita, vol.2, La separazione dalla madre, Bollati Boringhieri, Torino 1978;
REED S., 1988 Psicologia cognitiva, Il Mulino, Bologna, 1989;
ERDELYI H.M., 1985, Psychoanalysis: Freud’s Cognitive Psychology, W.E. Freeman, San Francisco;
TULVING E., 1972 Episodic and Semantic Memory, in Organization of Memory, a cura di E. Tulving, W. Donaldson, Academic Press, New York
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