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“So che tu senti”ovvero avere in mente che l’altro ha una mente

 

La capacità di mentalizzare permette di concepire sentimenti e pensieri in se stessi e negli altri come rappresentazioni e non come realtà fisiche oggettivate, prive cioè, di connessione con gli stati interni della persona. Inizialmente, la mente umana è incapace di comprendere la natura meramente rappresentazionale del pensiero (Main, 1991), cioè il fatto che, ad esempio, comportamenti materni poco coerenti poggiano su uno stato mentale sottostante. Riconoscere la differenza tra l’esperienza immediata e la realtà mentale soggiacente è una conquista non indifferente poiché può, tra le altre cose, permettere di moderare l’impatto di esperienze particolarmente negative, come abusi e traumi. Attribuire a false credenze o a stati depressivi il rifiuto da parte dei genitori aiuta infatti il bambino a non sviluppare un’immagine negativa di se stesso, che insorgerebbe inevitabilmente se egli non fosse in grado di collegare realtà oggettive e stati interni. I bambini possono avanzare nella consapevolezza emotiva grazie alla funzione co-regolativa degli adulti. Ciò che però generalmente fa la madre non è solo presentarsi al neonato come una figura in grado di riflettere e ri-consegnare affetti e stati bonificati. Di importanza ancora più basilare è l’immagine di sé che il bambino si vede restituita dall’adulto, ovvero quella di un essere intenzionale con attitudini, desideri e opinioni proprie. Questa rappresentazione viene internalizzata, formando il Sé che viene ad instaurarsi, quindi, grazie alla stessa capacità di mentalizzare della figura accudente. Questa competenza permette di ritrovare un collegamento tra gli stati interni e la realtà esterna (Fonagy, Target, 2001). E’ di basilare importanza  avere a disposizione una “teoria della mente” (Mayes, Cohen, 1992; Baron-Cohen, 1995), che attribuisca stati mentali intenzionali a se stessi e agli altri come ciò che spiega le azioni; ciò permette di offrire ai bambini nella prima età evolutiva una modalità di accudimento improntata alla responsività ed al contenimento ma che faciliti anche l’autonomia, instaurando nel bambino il senso di agency (Fonagy, Target, 2001), ovvero il senso di poter incidere sulla realtà, in particolare quella relazionale.

 

BIBLIOGRAFIA

 

BARON-COHEN S., 1995, L’autismo e la lettura della mente Tr. In Astrolabio, Roma 1997;

FONAGY P., TARGET M., 2001, Attaccamento e funzione riflessiva, Raffaello Cortina, Milano;

MAIN M., 1991, Metacognitive knowledge, metacognitive monitoring and singular (coherent) vs. multiple (incoherent) models of attachment. Findings and directions for future research. In: Parkes, C., Stevenson-Hinde, M., J., Marris, P. (Eds.) Attachment Across the Life Cycle. (127-159) London: Routledge;

MAYES L.C., COHEN D.L., 1993, Playing and therapeutic action in child analysis. International Journal of Psycho-Analysis, 74, pp.1235-1244;

 

 

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